Giorgio è un bellissimo bambino di
nove mesi, attivo e sempre alla ricerca di nuove cose da scoprire.
Da qualche settimana ha iniziato a manifestare una certa avversione
per il cibo, preferendo invece il latte nel biberon o le tisane.
Inizialmente i genitori di Giorgio non hanno dato importanza ai suoi
capricci, il bambino continuava ad acquistare peso e ad essere
allegro e vivace; dopo qualche erano davvero molto preoccupati.
Giorgio sviluppava ogni giorno nuove manovre finalizzate ad impedire
l’assunzione del cibo : chiudere con forza le labbra o protrudere la
lingua impedendo all’alimento d'entrare, procurarsi il vomito,
tenere la bocca aperta lasciando cadere il contenuto, sputare il
cibo, girare la testa di lato, etc… I genitori di Giorgio provano a
forzarlo, ad inventarsi mille distrazioni mentre lo alimentano, a
sgridarlo; il bambino perde peso e la loro preoccupazione e
frustrazione aumenta.
Cosa fare ?
In caso di prolungato rifiuto del cibo
da parte d'un infante, la prima cosa da fare è consultare il
pediatra ed effettuare tutte le valutazioni mediche necessarie.
Una autentica anoressia nervosa
infantile è abbastanza rara, tipicamente si presenta tra il sesto
mese e i tre anni di età ed è caratterizzata da un netto rifiuto del
cibo e dall’arresto della crescita. Valutate e tenute sotto
controllo le eventuali componenti organiche è necessario una
diagnosi ed un trattamento di tipo psicologico-psicoterapeutico. Il
problema deve essere affrontato lavorando con entrambi i genitori ma
prendendo in considerazione tutti i fattori in gioco: il naturale
temperamento del bambino, le problematiche psicologiche dei
genitori, gli stili d'attaccamento materno e paterno.
L’alimentazione nell’infanzia è teatro
delle emozioni e dei vissuti che connotano la relazione
genitore–bambino, il rifiuto del cibo è una comunicazione forte a
cui è compito dell’adulto rispondere in maniera adeguata. Spesso è
la ricerca dell’ indipendenza e dell’ autonomia - propria di questa
fascia di età - a spingere il bambino a rifiutarsi di mangiare, ed è
la risposta confusa e spaventata dei genitori - un loro maggiore
controllo - a produrre ulteriore frustrazione e incomprensione
reciproca in una spirale sempre più negativa. I genitori dovrebbero
riuscire ad equilibrare il bisogno del bambino d'avere sia più
autonomia, sia limiti più chiari e definiti. Non è facile mettere in
pratica una regola apparentemente così semplice: ogni genitore si
porta dietro i propri conflitti irrisolti sull’autonomia ed il
controllo, frutto delle relazioni con i propri genitori. In questi
casi lo psicoterapeuta aiuta a capire cosa succede nella specificità
ed unicità d'ogni situazione, ed a trovare le strategie migliori per
affrontare il problema: un problema che altrimenti diventerebbe un
serio ostacolo, sia allo sviluppo di una sana ed equilibrata
personalità del bambino, sia al superamento di conflitti personali e
quindi alla crescita psicologica dei genitori.
Manuela Marcucci, psicologa, Roma |