Questo è un argomento d'attualità molto dibattuto,
che sta generando opinioni discordanti tra genitori, terapeuti ed
insegnanti. E' giusto utilizzare psicofarmaci per calmare bambini
irrequieti o per aumentare la loro concentrazione?
La sindrome a cui ci si riferisce è l’ADHD (Attention
Deficit Hyperactivity Disorder) ossia “il disturbo da deficit di
attenzione con iperattività”; nessuno sa di preciso quanti bambini o
ragazzini abbiano nel mondo una diagnosi che ruoti attorno a questa
sindrome.
Negli USA un bambino su dieci all’età di circa 10
anni prende qualche farmaco stimolante e in generale sarebbero circa
4 milioni i minorenni che in America assumono antipsicotici,
ansiolitici, sonniferi o antidepressivi. Ciò che accade negli Stati
Uniti dovrebbe essere un monito perché come spesso accade lì si
verificano fenomeni di massa che ben presto si sviluppano anche in
Europa e quindi in Italia. Da noi i bambini diagnosticati con ADHD
sono circa il 3% di quelli in età scolare. Ma analizziamo da un
punto di vista psicologico questo fenomeno.
La scelta farmacologica per un disagio che in un
bambino o in un adolescente può voler dire di tutto e che con
diversi gradi e modalità, anche negli adulti, pervade il nostro
tempo e la nostra società ha finito per prevalere: è il mito della
pillola miracolosa e risolutiva di tutti i problemi…ma soprattutto è
una scelta sbrigativa! Mancando nella maggior parte dei casi una
rete di servizi efficiente che si prenda in carico un bambino
problematico, impulsivo, disattento, aggressivo o depresso ecco che
si opta per lo psicofarmaco, con tutti i rischi associati poiché ad
oggi non si conoscono ancora gli effetti a lungo termine di questi
farmaci sui cervelli in fase di sviluppo. Il paradosso è che la
pillola placa le ansie dei genitori sempre più stressati che non
hanno tempo da dedicare ai figli e a questi ultimi, sottoposti fin
da piccoli a una vita frenetica, con ore passate davanti alle
immagini velocizzate della TV, si chiede di essere calmi!!
Un ulteriore problema è garantire un percorso
diagnostico rigoroso, che tenga conto dei vari contesti, dalla
famiglia alla scuola in cui i sintomi si esprimono, ma è soprattutto
necessario saper cogliere il significato, il messaggio di certi
comportamenti senza fermarsi alla superficie…l’ascolto e la
comprensione sono già una forma di terapia che spesso alleggerisce
da subito i sintomi. La prima mossa da fare non è mai la
somministrazione del farmaco!
Laura Villata, psicologa psicoterapeuta
(Torino) |